Novità dal Kurdistan

Portare avanti una guerra, con tutte le complicazioni che questa comporta, è già estremamente difficile; sopportare una pandemia allo stesso tempo mette il Rojava, regione curda al nord est della Siria, e i suoi cittadini ancora più a rischio di quanto già non lo siano resistendo ogni giorno agli attacchi armati di Erdogan e dell’Isis. Al giorno d’oggi non si sono ancora verificati casi di contagio ma la regione, in particolare l’Amministrazione autonoma, si sta già preparando: gli spostamenti sono ormai permessi solo ai lavoratori che svolgono un lavoro di primaria necessità, è stato istituito un numero verde, si stanno mettendo a disposizione ambulanze esclusivamente per eventuali pazienti contagiati dal virus e si sta lavorando al miglioramento delle terapie intensive, di cui solo una delle tre presenti sul territorio è interamente funzionante.

L’unico ospedale che sarebbe stato in grado di analizzare i tamponi è quello di Serikanye, andato però distrutto durante un bombardamento turco nell’ottobre del 2019. Questo significa che i tamponi dovranno essere spediti all’ospedale di Damasco, da dove però i risultati potranno arrivare solo dai quattro ai sette giorni dopo, senza comunque mai avere la sicurezza di un controllo effettuato correttamente e secondo i giusti criteri.

Oltre alle criticità delle strutture ospedaliere ricordiamo che, come tutti i territori di guerra, il Rojava ospita diversi campi profughi, dove quotidianamente arrivano sfollati da ogni parte del Kurdistan. L’Amministrazione autonoma si è già impegnata a distribuire kit di precauzione, ma ovviamente qua le condizioni igieniche e sanitarie sono molto più difficili da controllare. Tutto questo significa che è impossibile momentaneamente per l’amministrazione curda riuscire a percepire la presenza di infetti o meno.

I profughi, però, non saltano fuori dal nulla, ma continuano ad arrivare nei campi per un semplice motivo: nonostante la pandemia la Turchia di Erdogan non retrocede ma anzi, sfrutta questo momento di crisi per portare avanti la sua repressione.Gli attacchi, infatti, non sono stati interrotti e nel governatorato di Hasake la Turchia ha addirittura bloccato l’approvvigionamento di acqua.

Basta spostarci dal Kurdistan siriano a quello turco per capire che la situazione non è assolutamente migliore: pochi giorni fa la Turchia ha confiscato otto municipalità curde. Il 23 marzo, infatti, la polizia turca ha sostituito illegalmente con funzionari del governo turco designati (detti “fiduciari”) diversi sindaci curdi eletti democraticamente appartenenti all’HDP (Partito Democratico dei Popoli), partito filo-curdo, proseguendo con il loro arresto per “sostegno di terrorismo”. L’imposizione dei “fiduciari” turchi mostra chiaramente il carattere antidemocratico e liberticida della politica di Erdogan.

La Turchia, continuando a soffocare il Kurdistan, si mostra nuovamente nella sua disumanità, che persiste a prescindere dalla crisi che il mondo, Kurdistan compreso, sta vivendo a causa del Covid-19, continuando imperterrita con le sue politiche fasciste e repressive che renderanno estremamente più difficile il controllo del virus nel territorio curdo.